Se commetti un errore in buona fede, l’Agenzia delle Entrate non può punirti. In questa maniera eviti ogni sanzione: cosa dice la Cassazione.
Tra i controlli più temuti dagli italiani troviamo sicuramente quelli dell’Agenzia delle Entrate. Uno dei motivi principali per cui gli italiani temono i controlli fiscali è il rischio di sanzioni pecuniarie. Gli accertamenti fiscali possono portare a multe e penalità se vengono trovati errori o omissioni nelle dichiarazioni dei redditi. Queste sanzioni possono essere elevate, soprattutto se si tratta di infrazioni gravi o ripetute. La paura di incorrere in tali sanzioni spinge molti a temere i controlli.
Del resto il sistema fiscale italiano è noto per la sua complessità. Le leggi e le normative cambiano frequentemente e possono essere difficili da comprendere per i contribuenti comuni. La paura di non riuscire a seguire correttamente tutte le regole e di commettere errori involontari alimenta l’ansia riguardo ai controlli fiscali. Delle volte però potrebbero essere commessi degli errori in buona fede ed in questo caso l’AdE non potrà multarvi. A rivelarlo è una sentenza della cassazione.
Di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12648/2024, ha stabilito un principio fondamentale per i contribuenti italiani: gli errori commessi in buona fede non devono essere sanzionati. Questa decisione si inserisce nel contesto della disciplina tributaria, che richiede che le azioni del contribuente siano valutate con un occhio di comprensione. Il caso che ha portato alla decisione della Cassazione riguarda una cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 36 bis delle disposizioni accertative sui redditi.
Il contribuente, che aveva ottenuto la rateizzazione del suo debito per l’anno 2011, aveva effettuato il pagamento della terza rata con un giorno di ritardo, precisamente il 3 marzo 2014 anziché il 28 febbraio 2014. Nonostante il pagamento sia stato effettuato prima della scadenza della rata successiva, l’Agenzia delle Entrate ha contestato il ritardo, imponendo sanzioni. Il contribuente ha impugnato la cartella, sostenendo che il prospetto di pagamento riportava come scadenza il 3 marzo. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto il ricorso, ma l’Agenzia delle Entrate ha fatto appello.
Allo stesso tempo la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo il pagamento effettuato in buona fede e l’errore scusabile. La Cassazione ha confermato la validità della sentenza di secondo grado, riaffermando l’importanza del principio di buona fede nel rapporto tra contribuente e fisco. Questo principio è sancito dall’art. 10 dello Statuto dei Diritti del Contribuente, che stabilisce che le sanzioni e gli interessi di mora non possono essere applicati se l’errore è stato causato da indicazioni errate fornite dall’Amministrazione finanziaria o da modifiche successive delle stesse.
L’errore è quindi considerato scusabile quando il contribuente si è attenuto a indicazioni errate fornite dall’ufficio fiscale o ha agito in base a documentazione ufficiale che successivamente è risultata errata. Inoltre se l’errore è dovuto a ritardi o omissioni degli uffici fiscali, le sanzioni non possono essere applicate.
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